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Riflessione sul talento. Cosa può fare il counselor?

DI PAOLA DE PAOLIS FOGLIETTA

Qual è lo scopo del counselor? Individuare quel potenziale che il cliente ha perso di vista e non riesce più a riconoscere in sé.
In una lettera di San Paolo ai Corinzi, l’apostolo diceva “portiamo questo tesoro in vasi di creta”. Noi uomini siamo esseri fragili, cambiamo idea, non abbiamo una determinazione ferrea, passiamo la vita a seguire ciò che ci piace e a fuggire ciò che non tolleriamo. Siamo cangianti, umorali, ci stanchiamo e cambiamo strada in continuazione sedotti dal canto delle sirene. Siamo come dei vasi di terracotta, friabili.

Eppure dentro di noi c’è un tesoro inestimabile. Di cosa di tratta? L’apostolo Paolo lo chiamava lo Spirito di Gesù, i cabalisti D-o, Socrate l’avrebbe chiamato il Daimon, Krishna Atman. Chiamiamolo come vogliamo, il nostro "demone” (nel senso di Socrate) o il nostro Dio, o entrambe le cose insieme.

I nostri preziosi talenti spirituali, frutto delle azioni dharmiche delle nostre vite precedenti, vanno fatti fiorire ancora, per contrastare tutte le tendenze karmiche che sono in noi. Mettiamola così, i nostri talenti sono la tavoletta da surf per stare in piedi, in precario equilibrio sul mare del samsara. Sono il mezzo attraverso il quale ci facciamo strada nella fatica del vivere, per ottenere la grazia, la salvezza. Sviluppare i nostri talenti diventa un dovere, una questione di vita o di morte.

Rudolf Steiner diceva (anche Marco Ferrini si riferisce negli stessi termini e altri saggi) che tutte le nostre azioni, pensieri e intenzioni sono registrate in speciali registri Akashici e nella vita complessa della psiche noi facciamo cose evolutive e cose involutive, inevitabilmente. Ciò che è “involutivo” prende una strada e diventerà qualcosa nelle vite successive. Per esempio, la maldicenza e la diffamazione diventeranno nella vita successiva- sostiene Steiner- una debolezza di carattere e in quella successiva ancora, una salute cagionevole. Così tutto ciò che abbiamo amato e studiato con amore diventerà un talento innato nella vita successiva. Poniamo che durante la nostra vita abbiamo studiato l’arte e l’architettura assiduamente, naturalmente tutto l’aspetto mnemonico, come quello fisico, andrà perduto e nella vita successiva non ricorderemo nulla di ciò che abbiamo studiato (mi dispiace per voi che avete studiato e parlate correttamente tre lingue), ma rinasceremo piuttosto con il talento per l’arte per l’architettura. Quello che sopravviverà stampato a fuoco nella nostra anima sarà il sentimento che abbiamo avuto per questi ambiti. Il talento è quella cosa che noi sappiamo fare divinamente senza aver studiato. È il fuoco, l’amore che c’è in noi che prende una forma.

Tornando a noi, cosa desidera il counselor bhaktivedanta? Desidera aiutare gli uomini a tirare fuori il loro potenziale che li salverà e li renderà felici. Desidera aiutare le persone a salvarsi “da soli” attraverso un cammino personale (niente principi azzurri o super-eroi che si occupano di noi) e uscire dal pigro pregiudizio new-age che il mondo è dentro la nostra testa. No, il mondo è lì fuori e va scoperto e vissuto, uscendo dalla nostra zona di comfort. L’ottica della nostra prospettiva, la nostra limitata visione soggettiva, lo rende diverso per ciascuno di noi, è assodato, ma in realtà è qui la vita da vivere, subito o lì, comunque, fuori dalla nostra mente condizionata. Come dice Kierkegaard, il contrario del peccato non è la purezza, ma la fede. Non c'è niente di impuro in ciò che Dio ha creato. Anche la fede diventa talento e i talenti come tutti i semi e le piante, vanno aiutati a crescere con il lavoro opportuno.