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Giudizio e Consapevolezza

DI NICOLA BARONI

Ho accolto con piacere e conforto lo spazio che, durante il seminario di Ottobre, è stato riservato sia da Marco Ferrini, in diretta streaming da Ponsacco, che da Andrea Boni, a Bologna con noi corsisti, al tema del giudizio e alla sua possibile convivenza con l'empatia, una delle colonne portanti del counseling Bhaktivedanta.

È innegabile che il giudizio abbia un impatto molto significativo nella nostra vita ed è quindi un ambito che è opportuno scegliere di vivere con la massima consapevolezza possibile. Per questo, l'occasione di poter affrontare tale argomento in modo strutturato ed in gruppo è stato per me di indubbio valore aggiunto.

Visualizziamoci un attimo come soggetti potenziali ricevitori di valutazioni, commenti, pettegolezzi: quanto siamo capaci di discernere tra un giudizio autentico, evolutivo ed invece un feedback filtrato da ipocrisia e maschere? Che capacità abbiamo di recepire il giudizio, di qualsiasi natura esso sia, come opportunità di consapevolizzare una nostra area di miglioramento sulla quale poi lavorare? Che capacità abbiamo di fare emergere i condizionamenti inconsci che tuttora disturbano i nostri comportamenti a causa di giudizi maldestri, magari ricevuti in età infantile, pre-critica, quando non avevamo ancora maturato “anticorpi” sufficienti per valutare quanto ci veniva detto, soprattutto da persone adulte?

Poniamoci ora come soggetti (ad esempio nel ruolo di genitori, figli, amici, colleghi.. counselor!) chiamati a fornire una valutazione: quanto siamo consapevoli del potenziale impatto che possono avere le nostre parole e le emozioni che le accompagnano sull'immagine che l'Altro ha di se e quindi sulla sua autostima e il suo percorso evolutivo? Quanta capacità abbiamo di omettere il nostro ego dal giudizio che forniamo e di realizzare, di volta in volta, se disponiamo dei dati oggettivi necessari per esprimere una valutazione e, in caso affermativo, se il tempo, il luogo e la circostanza sono quelli giusti?

È con queste domande in testa che ho seguito con attenzione quanto emerso nel week end ed è stato riflettendo proprio su tempo, luogo e circostanza che ho consapevolizzato, in merito, come anche il giudizio, inteso come 'verità' da noi vissuta o proferita, possa porsi su tre differenti livelli crescenti che i Veda indicano in:
satyam
ritam
tattva


Per arrivare ad una preliminare comprensione di tali concetti, incontrati durante il primo esame in Scienze Tradizionali dell'India, ed a una loro declinazione sul piano concreto, ho trovato supporto nell'articolo di Andrea Boni su questo blog (articoli dal titolo 'È sempre corretto dire la verità?' I e II parte – Agosto 2015) di cui riporto tale estratto.

' Satyam è la verità sul piano nominale, quella diretta, forse quella a cui tutti siamo stati educati: il “non dire falsità”. Vedo davanti a me una donna e dico: quella è una donna. Se dicessi: quello è un uomo, esprimerei una falsità.
Ritam è un pochino più difficile da comprendere. Appartiene ad un livello più sottile, ad una idealità superiore, che garantisce appunto un ideale che può riguardare l’ambito relazionale, la patria, o quant’altro possa essere inserito nella sfera valoriale profonda dell'individuo. Tattva è ancora più difficile da comprendere: riguarda infatti il piano trascendente, quindi trascende anche l’idealità. È il livello cui possono accedere solo le anime pure, che vedono oltre il piano materiale... '


Tralascio, nel contesto di tale articolo, il piano Tattva, e mi chiedo: può un giudizio porsi su uno dei 2 livelli , Satyam e Ritam? A mio avviso si. Prendiamo questo esempio.

Un amico (chiamiamolo Luca) lavora con contratto a tempo indeterminato in una azienda solida e leader del proprio settore. È arrivato in tale azienda dopo aver cambiato diversi posti di lavoro negli ultimi anni e, come accaduto durante le precedenti esperienze professionali, sta vivendo da qualche mese una condizione di sofferenza : ritiene di non essere rispettato dal proprio responsabile ed ha conflitti con alcuni colleghi. Parlandogli diverse volte e raccogliendo anche informazioni da chi lavora con lui, emerge chiaramente che tale forte disagio è determinato non tanto dal contesto professionale nel quale si muove Luca, ma dal modo in cui Luca affronta le situazioni di maggior stress.

Un giorno Luca mi chiama comunicandomi di aver avuto un forte litigio con la direzione aziendale e, per questo, di aver già dato le dimissioni in quanto tra l'altro contattato da una nuova ditta dove, a parere suo, vi saranno tutti i presupposti per essere finalmente valorizzato per quello che realmente vale. Ad un certo punto Luca, pur dichiarandosi fiero della scelta, mi chiede: '... ma secondo te, sinceramente... ho fatto bene a cambiare lavoro? Sono certo che nel nuovo ambiente potrò organizzare le cose come voglio io ma sai, ho cambiato già diverse volte in passato...'

Ritengo che in una situazione simile ci possano essere diversi modi di esprimere una valutazione.

In sintesi, si potrebbe rispondere affermando: 'Sinceramente Luca, credo tu abbia sbagliato. Credo che prima di cambiare lavoro avresti dovuto chiederti cosa realmente ti ha portato, negli ultimi anni e nelle diverse aziende dove hai lavorato, a vivere situazioni conflittuali con il tuo responsabile e con i colleghi. Solo con tale consapevolezza acquisita avresti avuto strumenti per fare una scelta corretta' : un giudizio di questo tipo, ricade nell'ambito 'Satyam', è quindi veritiero, certo, a livello degli elementi fisici, nominali, ma che impatto potrà avere in termini di motivazione e autostima sull'amico che ha già dato le dimissioni e che si appresta ad iniziare all'indomani la nuova esperienza professionale? Perché mi devo assumere la responsabilità di intervenire in maniera così diretta nel suo processo, evolutivo o involutivo che sia, a fronte di una decisione tra l'altro già presa?

Un'altra via quindi potrebbe essere quella di rispondere 'Luca sento da un lato che tu sei soddisfatto per aver trovato una nuova opportunità e dall'altro sei consapevole che, negli ultimi anni, hai cambiato diverse occupazioni. La decisione la hai già presa e valuterai, con il tempo, se la scelta che hai fatto è giusta o sbagliata. Posso dirti che, qualora ti possa far piacere, se e quando vorrai fare 2 parole su come ti trovi e che emozioni e che bisogni avverti nella nuova azienda, io ci sarò. In bocca al lupo al momento'
Tale seconda risposta, ritengo ricada nell'ambito 'Ritam' e la valuto più idonea perché non demotiva l'amico, lo invita ad ascoltarsi dentro e ad assumersi la responsabilità della scelta fatta e offre, infine, disponibilità di ascolto.

Riprendendo quindi l'articolo sopracitato di Andrea, riporto tale secondo estratto:
' Nel primo caso la verità (ndr: il giudizio) è qualcosa di statico, è un dato di fatto. …. Nel secondo caso la verità è qualcosa di dinamico, più esattamente di relazionale, che sa collocare il dato di fatto .. nel contesto più ampio....' .

Con parole mie, derivanti dagli insegnamenti e dalle riflessioni di Marco Ferrini e Andrea Boni, tanto più aumenta il nostro livello coscienziale, tanto più possiamo vivere la realtà da una prospettiva di livello più elevato e realizzare se quella che riteniamo essere la nostra libertà sia effettivamente evolutiva e tale da non intaccare la libertà del prossimo...
tanto più facciamo esperienza di cosa significa vivere nel Dharma, tanto più capiamo, in quel particolare momento, luogo e circostanza, cosa noi siamo in grado di reggere e cosa l'Altro può reggere..
tanto più entriamo in empatia con noi stessi, tanto più ci innalziamo, il panorama si allarga e, in definitiva, maturiamo una visione sempre più reale di cosa è evolutivo e cosa non è evolutivo, cosa è verità da cosa è illusione e ci attrezziamo gradualmente della consapevolezza necessaria per comportarci coerentemente al nostro Se', in funzione, appunto, di tempo, luogo e circostanza.

Ecco perché considero una grande opportunità avere iniziato tale percorso di autoconsapevolezza con il CSB e ringrazio fin d'ora i compagni di viaggio che ho incontrato e che incontrerò per il loro coraggio di mettersi realmente in gioco.