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Piegata... dalla fame

DI ALESSANDRA CORA'

“Piegata, diario di un’anoressia” di Lara Tessaro è un piccolo libro che trasporta dentro ad un incubo: il suo. La lotta con se stessa, con una ricerca che non ha ancora trovato méta e che la porta ad un accanirsi contro ciò che le riesce meglio, il suo corpo, privandolo di cibo da una vita, come dice lei stessa: “il cibo è il suo peggior nemico”.

Un racconto che non lascia spazio alla speranza. Lara non si dà speranza, anche se vorrebbe, tuttavia non ci crede… Conosce molto bene i meccanismi dell’ostilità verso se stessa e negli anni di psicoterapia ha imparato ad analizzare bene i suoi schemi, sa osservarsi nelle sue dinamiche, nelle sue manie, nelle sue relazioni. Quando lessi questo libro provai un grande dolore, e trasportata dalle immagini che scaturivano dalle parole di Lara era impossibile non sentire e vivere la sua sofferenza. Quello che mano a mano sono andata cercando, tra le righe del suo scritto era il segno di una rinascita, che in realtà non si avverte, anzi, arriva angoscia, si entra nel vortice di colei che scrive e si sente la paura, la tristezza, il tormento.

Oltre alla storia, che mi rapiva, vedevo che il suo racconto metteva in evidenza i condizionamenti della mente, descrivendoli nella sua quotidianità e, come in un film dai risvolti noir, si riusciva a vedere cosa provoca una mente debole e ribelle.

Ho avuto modo di conoscere Lara ed è stata una scoperta bellissima, in tutto il nero che la circonda lei è di una dolcezza infinita e di un’empatia travolgente: è accogliente e restando un po’ in sua compagnia ti senti compresa e mai giudicata.
È fragile, hai paura di farle male se le stringi la mano con un po’ più di forza; è poca, è niente e in quel niente lei si vede tanta, ingombrante e vede normale me. Parlando con Lara si percepisce che ha voglia e bisogno di relazione, che non si vergogna di ciò che è e lo racconta. Mi colpisce il suo coraggio, non è da tutti raccontarsi in modo così sincero e crudo, e voler gridarlo al mondo per far vedere a chi non vuol vedere cosa significa essere anoressici. È una ragazza con un grande cuore, che dona affetto e sorrisi a prescindere. Tuttavia i suoi sorrisi sono spenti, come la luce che non rende luminosi i suoi occhi.

Dal suo racconto si può osservare come i cinque klesha, i condizionamenti descritti nello yoga, che sono gli esiti spesso inconsci di modelli fasulli, possono diventare devastanti; in particolare asmita, ossia l’identificarsi con il corpo, che diventa la parte più importante, quella che prende tutta l’attenzione per l’errata percezione di ciò che siamo realmente, e la storia di Lara lo rappresenta molto bene. Questa errata percezione viene definita da Patanjali samyoga, l‘aggancio emotivo alla materia. Nel libro sopracitato si nota molto bene come samyoga possa portare allo sfacelo più assoluto, sembra che sia un precipitare senza nessuna possibilità di risalita.
Vero è che una luce la possiamo trovare sempre, anche quando il tunnel sembra non finire mai, la luce nella via dello yoga è diventare consapevoli di essere purusha (spirito) e di non essere collegati alla prakriti o materia. Nella Bavaghad-Gita V.8,9 Krishna afferma che lo yogi, sia che mangi, dorma, beva o altro è sempre conscio, che sono tutte attività della natura e che lui non è implicato in esse. Definitivamente consapevole della propria natura, egli comprende che il lavoro è svolto dalle tre energie archetipe della materia i guna. Nel capitolo III.27 Krishna spiega che “confusa dall’influenza del falso ego l’anima incarnata si ritiene l’autrice delle proprie azioni, che in realtà sono compiute dai guna”.

Come ben definisce nel testo della psicologia dello yoga II il Prof. Ferrini: la prakriti è come un prestigiatore che fa vedere delle magie strepitose al purusha e questo ne rimane irretito fintanto che non inizia a comprendere i suoi trucchi, allora non ne resterà più ammaliato.

La magia di un corpo magro in questi decenni è diventata l’abbaglio per molte donne che hanno visto in essa il modello per essere felici con se stesse. In un corpo che secondo i dettami della moda definiamo perfetto e piacevole alla vista, si nasconde il bisogno di essere apprezzate, di essere amate, di essere valutate positivamente dagli sguardi altrui. Ogni donna chi più chi meno ha guardato al suo corpo e non si è piaciuta e lo ha messo a dura prova, a volte riuscendo nell’intento, a volte non riuscendoci affatto; tuttavia ci siamo mai chieste veramente se era quello il vero obiettivo che portava alla nostra felicità? Il più delle volte ne siamo rimaste deluse: è vero che attraverso il corpo possiamo punirci per ciò che non è ancora risolto dentro di noi, a volte digiunando, a volte ingurgitando cibo a più non posso. Diventa poi una guerra infinita, che sfibra, che annienta, che porta a un disequilibrio così potente da non saper più cosa fare.

Tutto ciò che esiste è un’interazione tra spirito e materia, la fisica quantistica lo ha dimostrato e i Veda lo dicono da millenni: tutto è sorretto da un ordine cosmico che viene definito Dharma, esso regola anche il buon funzionamento del nostro organismo. Sappiamo che a causa delle nostre menti condizionate infrangiamo spesso le leggi del Dharma e questo diventa causa di malattie più o meno gravi, mandiamo in tilt un progetto intelligente che guida il nostro corpo. Tuttavia niente è mai perduto, abbiamo sempre la possibilità di trasformaci, perché tornando a riscoprire quanto siamo interconnessi con tutto ciò che ci circonda possiamo trovare un nuovo equilibrio, nuove prospettive di osservazione di ciò che accade. Il punto è che nel corso dell’evoluzione dell’essere umano molto si è perso, abbiamo smarrito la bellezza della semplicità, delle relazioni, del condividere come stiamo veramente. Le antiche conoscenze indovediche sono purtroppo ancora poco note, mentre dovrebbero essere sempre di più patrimonio nelle mani di tutti, ogni persona avrebbe così strumenti utili per poter vivere meglio, si riscoprirebbero quei valori che darebbero un gusto nuovo alla vita.

Nelle parole del suo libro, che scorrono come un fiume in piena, Lara fa capire bene cosa sta perdendo, in lei si percepisce il bisogno di amore, di affetto, di nutrimento, di qualcuno che beva una tisana con lei, che le racconti la quotidianità di una vita normale, che la accolga nella sua fragilità, nella sua sofferenza.
Ho visto in Lara tante qualità: sono lì sopite, si intravedono quando parla, o nei suoi articoli per un giornale on-line: con la penna ci sa fare, è attenta osservatrice di cosa si muove intorno e soprattutto coglie i lati buoni degli altri. Mi chiedevo quindi: se piano piano fossero riscoperte queste sue virtù, forse, dico forse, le darebbero modo di percepire le sue sofferenze con un senso diverso che le permetta quindi un’inversione di marcia verso un nuovo percorso evolutivo?
Un cammino verso la scoperta del suo purusha.

Quando Lara ha piacere ci incontriamo, le faccio compagnia, c’è un’amicizia leggera tra di noi sorseggiamo qualcosa di caldo perché è molto freddolosa, le sto vicino, dice che le dò forza, parliamo di noi, senza pretendere nulla l’una dall’altra, esserci è la cosa più importante. Fisicamente è un momento in cui il suo fisico nonostante tutto ha messo su un po’ di peso e questo per lei è difficile da accettare. Il suo corpo non ha più un equilibrio e reagisce in modo strano e imprevedibile. Si può affermare che non c’è prana che la nutre, quel poco che c’è non ha l’energia adeguata per creare armonia dentro e fuori. I dosha sono impazziti e gli organi oramai tutti sofferenti. Vata sappiamo sovraintende i movimenti del corpo, e nel corpo di Lara vata ha un movimento eccessivo che la consuma; in questo turbinio di cose non molto tempo fa improvvisamente questa energia si è bloccata e Lara per un breve lasso di tempo non è piú riuscita a camminare. I medici non hanno soluzioni, intanto lei sopravvive. Il suo è un vivere al limite e lei lo sa benissimo… ha fame, tanta fame, di cibo, di vita, di tutto ciò che non si è permessa…