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La rabbia: la causa è dentro di noi

ALESSANDRA CORA'

Adesso non c’è più gusto neanche ad arrabbiarsi, perché prima si poteva dire: “Mi ha fatto andar fuori dai gangheri, ma gliene ho dette quattro…” Ora, dopo l’ultimo seminario di Formazione Avanzata per counselor del Centro Studi Bhaktivedanta, dove abbiamo approfondito e osservato sotto varie prospettive l’emozione della rabbia, sono diventata consapevole che non dipende dagli altri se io mi arrabbio, ma solo da me stessa.

In questi giorni quando qualcosa mi stimola ad una reazione “nervosetta” subito dentro di me si attiva una vocina che mi dice: “Di cosa hai bisogno? Cosa ti crea dolore?” Allora che gusto c’è ad arrabbiarsi, non serve più… tutta energia sprecata, perché all’esterno esiste solo uno stimolo che innesca un samskara, un vissuto emozionale che si è depositato nell’inconscio, che può arrivare anche da molto lontano nel tempo. A volte è difficile comprendere cosa c’è dietro, perché non siamo abituati ad ascoltare i nostri bisogni e i dolori che nascondono, anzi, cerchiamo di fuggirli, se possiamo, mettendo delle maschere per poter sopravvivere. Viene dunque facile scaricare gli stimoli all’esterno, come figli, genitori, mariti, amici, loro tuttavia sono relativamente responsabili, sono dei portatori “sani” di impulsi che noi non sappiamo gestire. L’impulso accende la miccia e il soggetto non riuscendo a spegnerla tempestivamente, fa scoppiare la bomba, generando conflitti, sofferenze e tante insoddisfazioni. La rabbia il più delle volte la subiamo e nasce da impressioni emotive profonde, che ci provocano dolore; se fossimo in una costante consapevolezza sapremmo dismettere la maschera e accoglieremmo quel dolore, lo sosterremmo, ci staremmo dentro e con affetto e compassione verso noi stessi sapremmo perdonarci per trasformare quell’emozione in una forza interiore creativa ed evolutiva, come il coraggio di andare oltre a parole e atteggiamenti che ci fanno irritare.
La rabbia è un’emozione autodistruttiva perché va a stimolare ghiandole importanti del nostro corpo come: l’amigdala che è il nucleo del sistema limbico, l’ipotalamo, l’ipofisi, le ghiandole surrenali, che sono responsabili della produzione di adrenalina, noradrenalina, cortisolo, che danno al nostro corpo un appagamento compensatorio, basti pensare a come ci si sente di primo acchito dopo aver scaraventato addosso a qualcuno le famose “quattro parole”. Vero è che questo “benessere” sarà momentaneo e passata la sfuriata ci sentiremo prima in ansia, e poi subentrerà il senso di colpa. Non possiamo inoltre dimenticare che se viviamo spesso nella rabbia si distruggeranno i neuroni della corteccia cerebrale e altre disfunzioni che possono portare ad una perdita della memoria a breve termine. Un vero e proprio uragano che lascia cumuli di macerie dentro di noi. La causa della nostra rabbia è dentro di noi, ed è lì che noi dobbiamo portare la nostra attenzione. Proprio stamattina parlando con i miei genitori, una chiaccherata partita armoniosamente si è trasformata in una discussione che ha portato mia madre a porsi verso di me in modalità giudicante, per un vissuto che a quanto pare non è ancora risolto. Immediatamente mi si è accesa la miccia dentro, me ne sono accorta e ho cercato di modulare diversamente la condivisione. Nonostante ciò, mi è partita una frase accusatoria verso la mamma e successivamente in rapida successione sono arrivati tutta una serie di stimoli riflessivi, primo su tutti: “Di cosa avevi bisogno ?” Avevo bisogno di essere accolta per ciò che sono e per quello mi sentivo frustrata. I vissuti, come afferma Patanjali nello Yoga Sutra, se non vengono bruciati alla radice possono tornare a rigermogliare e in effetti ho percepito spuntare dentro di me un senso di rancore che pensavo aver superato. Ore dopo mi sono chiesta: “Dov’era la mia compassione e il mio perdono?” Purtroppo i ricordi seppur ormai lontani sono ancora prodromi di dolore, memorie impresse nei miei muscoli che a volte rifioriscono. Stavolta comunque con una nuova consapevolezza, li ho riconosciuti e ho capito inoltre che tutto questo mi ha stimolato fino ad oggi a proiettare su mio figlio questa insoddisfazione e in un certo qual modo così come i miei non accolgono una parte di me, io non accolgo una parte di mio figlio: ora questa dinamica mi è chiara. Comprendo meglio la sua rabbia e il dolore che nasconde. Sicuramente io sono uno stimolo per lui e lui lo è per me, ognuno di noi sceglierà il suo percorso per risolvere le proprie sofferenze. Se in questa vita siamo madre e figlio ciò costituisce una opportunità che abbiamo di crescita, perché attraverso le nostre interazioni possiamo entrambi dirigerci verso una trasformazione. Dopo questo seminario così profondo ed introspettivo, grazie ad esercizi pratici di connessione, condivisione e meditazione e attraverso ciò che ho esperito nella vita quotidiana, ho ben compreso che la strada verso la migliore versione di me stessa mi riserva ancora molto lavoro di pulizia. D’altro canto siamo qua per questo e se abbiamo scelto di essere un aiuto per gli altri, dobbiamo essere noi i primi a fare un lavoro continuo con noi stessi. Nella Bhagavad-gita Krishna ripete con molta empatia ed affetto ad Arjuna: “pratica costante e distacco emotivo”, perché da perfetto counselor quale è, sa che nella natura materiale la mente costituisce un continuo elemento di disturbo se non la mettiamo sotto il controllo del sé, ma fiduciosi ognuno di noi continuerà la strada intrapresa lavorando per essere un esempio, dimostrando che ce la possiamo fare nonostante tutto, con pazienza, entusiasmo e condivisione.