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I colloqui personali di counseling durante il triennio: trovare la strada di casa

PAOLA DE PAOLIS FOGLIETTA

I colloqui previsti durante il triennio di corso di formazione in counseling del Centro Studi Bhaktivedanta sono molto importanti e formativi. Non solo insegnano la modalità della conduzione del colloquio, tecnica che viene applicata anche durante i laboratori dei seminari, ma diventano momenti di condivisione e richiesta di aiuto riguardo i punti critici della nostra vita attuale. Chi decide di intraprendere il percorso per diventare Counselor inizia con il desiderio di aiutare tutto il mondo e poi si rende conto quanto sia importante, per prima cosa, il lavoro da fare su sé stesso e, il colloquio con il tutor e/o l’insegnante, sono il primo step di questo cammino di crescita.

Il colloquio di oggi che ho avuto con il prof. Andrea Boni è stato di grande aiuto, perché nel parlare di alcune problematiche che tenevo chiuse dentro di me, ho avuto la sensazione di far cambiare aria , come quando si apre una stanza per far entrare i raggi del sole e mettere all’aria le lenzuola. Ossigeno.

Ciò che noi chiamiamo problemi, per quanto concreti, reali e pericolosi possano essere, visti in una prospettiva evolutiva e proattiva cessano di avere quel potere deprimente che affossa la nostra vita, perché c’è sempre una soluzione. Compito del counselor è mostrare un punto di vista diverso per poter trasformare la crisi in una opportunità di crescita.

Le emozioni sono dei sintomi della nostra interiorità e vanno ascoltate sempre, anche quando ci creano ansia e vanno accettate, applicando compassione per noi stessi e auto-empatia. La crisi diventa il teatro privilegiato della nostra rinascita in un’altra identità inaspettata, non va fuggita, ma attraversata. Come potremmo aiutare le persone se noi per primi non abbiamo vissuto questo e non lo abbiamo attraversato trovando delle soluzioni e non abbiamo sconfitto i nostri draghi e vinto le nostre battaglie?

Lavorare sui propri condizionamenti è un’attività quotidiana, se si vuole essere counselor lo si deve essere tutti i giorni con l’osservazione delle nostre emozioni, i nostri bisogni , quelli delle persone intorno a noi, imparare a far rispettare i nostri limiti a vincere sulla mente reattiva, per imparare ad amare davvero, perché il successo nell’aiuto alla persona non dipenderà solo dall’abilità tecnica che avremo acquisito, ma dalla nostra presenza consapevole, dalla coerenza esistenziale, l’essere presenti nell’amore.

Aspirare alla santità non è per pochi eletti, ma per ognuno di noi, quando significa decidere chi voler essere e decidere i propri valori. La santità è un percorso a ostacoli fatto di cadute e rimesse in piedi, non è qualcosa di fisso e raggiunto per sempre, che avviene in automatico, se ci si comporta bene.

L’aggettivo “santo” proviene dal latino sancire, stabilire un accordo, siglare una legge. Ebbene il desiderio di santità oggi non può più essere letto nel senso di ascetismo neoplatonico o un astratto spiritualismo separato dal corpo, ma nel desiderio di riprogrammare la propria mente in modo da essere coerenti con sé stessi e quando si dice “sé stessi” non si parla della propria personalità, non si parla del proprio corpo e del nostro ruolo sociale, bensì si parla del nostro sé profondo, che è già santo da sempre. Significa fare un accordo con il proprio Sé, con Dio, in cui desideriamo rendere la nostra vita la versione più bella che possiamo, non grazie alla nostra mente o alla nostra bravura, ma grazie all’amore con cui agiamo.

Quindi, forse non dobbiamo diventare santi, ma ritornare ad esserlo: integrare il proprio Sé, diventare chi siamo, nonostante la vita ci abbia portato molto lontano da noi stessi. In tal caso, possiamo iniziare il nostro viaggio da qui.