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Alla fine ci vuole la Pazienza

 

Di Alessandra Corà

Qualcuno si potrà chiedere come mai continui a scrivere storie che parlano di morte! In effetti il pensiero è lecito. Scrivo queste storie perché sto osservando che c’è molto da imparare da chi sta concludendo la sua vita, specie ora, in questa società che fatica a comprendersi e dove tutto è sempre più complicato con regole e divieti che limitano la vita di ognuno, relazionarsi con i morenti, invece, dona un senso di vera libertà.

Proprio quando tutto sembra e ribadisco, sembra finire, sgorga dalle persone una saggezza che permette a chi li ascolta di apprendere insegnamenti preziosi per correggere il tiro della propria esistenza.

Scrivo queste storie perché credo che sia importante confrontarsi con l’evento morte, che riguarda tutti, nessuno escluso; non possiamo parlarne quando siamo ad un passo dal momento fatidico solo perché pensiamo che c’è ancora tempo, il tempo è tiranno e noi non abbiamo nessuna certezza del tempo che ci rimane.

Paolo, è un giovane uomo che si trova in hospice, è consapevole che per lui non c’è più speranza di guarigione ed ha scelto di non procedere con le terapie. “Pensa che strano!” Mi dice. “Mentre facevo le cure la malattia non aveva freno e progrediva velocemente, ora che ho scelto di non fare più nulla la malattia ha frenato la sua corsa e questo tempo ultimo, sembra non finire mai, mentre invece vorrei che finisse il prima possibile. Probabilmente questo mi sta insegnando ad avere pazienza, qualità che non è mai stata un mio punto di forza.

Mi ha fatto riflettere molto la conversazione con Paolo che è avvenuta su più prospettive rispetto a ciò che sta attraversando e mi ha dato modo di realizzare una cosa importante: anche nella finale dell’esistenza si ha l’opportunità di sviluppare le qualità che non siamo riusciti a mettere in movimento durante la vita, ed è proprio per quello che si muore quando è il momento opportuno e fino all'ultimo secondo quel tempo ci serve a realizzare qualcosa che è estremamente importante per il viaggio successivo.

La stanchezza di Paolo è altresì comprensibile arrivati alla fine si vorrebbe che tutto si compisse prima possibile e ho immaginato dalle sue parole che se la legge lo permettesse chiederebbe una mano per accelerare i tempi.

Vero è che questo tempo di attesa gli sta dando l’opportunità di sviluppare quelle caratteristiche che non è riuscito a sviluppare prima, questo tempo ha un senso peculiare. La domanda che può sorgere spontanea è: ma a cosa gli serve? Tanto deve morire.

Sì, certo, deve morire, tuttavia è necessario tenere presente che ciò che muore è solo il corpo, la sua essenza, l’anima, prosegue il suo viaggio e tutto ciò che si è fatto in vita e ha fatto crescere ed evolvere la coscienza non va perduto, è il bagaglio che l'anima si porta appresso nel suo trasmigrare.

Ognuno di voi potrà credere o meno alle mie parole, vero è che una notevole letteratura antica e moderna, avvalora ciò che sto scrivendo. La Bhagavad-Gita ad esempio, testo autorevole della tradizione indiana dello Yoga, molto apprezzato anche da grandi studiosi occidentali quali Yung, Schopenhauer per citarne un paio, afferma nel suo secondo capitolo verso 12 e 13: "Mai ci fu un tempo in cui non esistevamo, Io tu e tutti questi re, e mai nessuno cesserà di esistere." "Come l'anima incarnata passa, in questo corpo, dall'infanzia alla giovinezza e poi alla vecchiaia, così l'anima passa in un altro corpo all'istante della morte. La persona riflessiva non è turbata da questo cambiamento." Oppure si può citare Elizabeth Kübler-Ross psichiatra che ha svolto un lavoro pionieristico nel campo dell'assistenza ai malati terminali e della ricerca sulla morte e il morire, divenuta punto di riferimento per medici ed operatori scrive: "La morte è un processo umano come la nascita. L' esperienza della morte è quasi identica a quella della nascita. È come nascere a un'esistenza diversa che può essere dimostrata molto semplicemente. È identica a ciò che accade quando la farfalla esce dal bozzolo." Ho osservato nella mia piccola esperienza, che le persone che stanno varcando la soglia del fine vita hanno la visione che la fine è davvero relativa. Gli scettici potranno chiamarla speranza dell'ultima ora ed ognuno è libero di credere ciò che è meglio per sé, allo stesso tempo desidero offrirvi le parole del Maestro Marco Ferrini filosofo e Guida Spirituale, che da moltissimi anni di dedica alla diffusione negli ospedali e negli hospice nuovi orizzonti di senso sul processo del morir, attraverso gli insegnamenti della filosofia dello Yoga e dell’Ayurveda e che mi fecero riflettere molto la prima volta che le sentii e mi stimolarono a ricercare ed approfondire il tema: "Ci si accorge che la morte in sé non esiste nel momento in cui si chiudono gli occhi!"

A Paolo, alla fine del nostro incontro, ho fatto un augurio che mi risuonava strano ma quanto mai opportuno per la situazione: "Paolo a questo punto credo che il migliore auspicio che posso offriti è di non ritrovarti qui la prossima settimana!" Mi ha guardato sollevato e mi ha risposto: " Grazie per avermi capito!”