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Perché frequentare il corso di counseling al centro studi Bhaktivedanta

PAOLA DE PAOLIS FOGLIETTA

Ci sono tanti motivi per cui puoi frequentare un corso di counseling del Centro Studi Bhaktivedanta. Quando io ho iniziato, avevo voglia di apprendere, o cominciare ad apprendere una nuova professionalità. Volevo imparare qualcosa e possibilmente “farci” qualcosa, ossia ottenere dei risultati di vario tipo: competenze, conoscenze, abilità, nuova professionalità, e possibilmente nuovo lavoro. Avendo già un lavoro, per cambiare così radicalmente rotta, nel senso più stretto della professione come counselor, ho da impegnare ben più energie di quelle che uso, perché non è così semplice in realtà. Tuttavia il counselor può trovare opportunità in luoghi come gli ambienti socio-sanitari, le scuole, le aziende e comunque, può affiancare le sue competenze al lavoro che già svolge integrandolo in modo significativo, visto che la maggior parte del nostro tempo è costituito dalle relazioni. In realtà questo studio triennale mi ha fatto entrare in un percorso ben più avventuroso, che un mero accumulo di nozioni o di tecniche. Mi ha trasformato, o meglio desideravo una trasformazione e il Centro Studi Bhaktivedanta è stato il terreno ideale per il mio passaggio da una sponda all’altra della consapevolezza di me.

Questo è accaduto per vari motivi. Per prima cosa, quando si accede a uno studio nell’area della relazione o delle conoscenze psico-spirituali per forza di cose ci troviamo di fronte ai punti della nostra vita che facciamo fatica ad accettare. E forse finiamo lì anche per questo, perché coscienti o inconsapevoli desideriamo evolvere, non marcire nei nostri luoghi comuni. Per questo tante volte nella nostra vita ci mettiamo nei guai, facciamo cose che sappiamo non essere “giuste”, ma dentro di noi, il nostro “istinto” ci dice che dobbiamo buttarci per compiere quell’esperienza di vita, perché si può conoscere solo attraverso l’esperienza. Se si è in crisi, tra tutte le cose irragionevoli che siamo tentati di fare, frequentare il triennio al CSB forse è la scelta più sana.

L’esperienza triennale del counseling è una scatola magica in cui le persone entrano in un modo ed escono in un altro: più motivate, con pensieri più chiari, con desiderio di rimettere in gioco la propria visione del mondo. Questa trasformazione è la condizione per diventare un operatore di aiuto relazionale, poiché è proprio quell’esperienza che avvalora il nostro lavoro e il nostro agire.

Rispetto ad altre scuole di counseling questa del Centro Studi Bhaktivedanta, dà un taglio profondamente umano, ma senza quelle connotazioni di tolleranza umana e civile che è tanto in voga oggi. La nostra cultura occidentale e globale infatti si sta orientando verso le pari opportunità, verso l’inclusione, l’atteggiamento empatizzante, verso un tipo di bon ton, se non politicamente corretto, almeno civile, rispettoso, solidale. La cultura dominante è caratterizzata dalla complessità della conoscenza e vuole inglobare tutto, portando tutte le realtà culturali - giustamente- alla stessa dignità di importanza, quante etnie sono presenti nell’unica razza che esiste: quella umana. Tuttavia quella bella retorica dell’inclusione e della fratellanza spesso rimane un’aspirazione etica dimenticata nei libri; infatti, poi nella realtà ci scanniamo con il vicino di casa perché ha la siepe troppo alta o ci cadono cose nel nostro giardino. L’umanitarismo tanto aspirato non è possibile se noi non facciamo una rivoluzione da dentro di noi e non abbiamo la reale percezione del divino in tutto quello che ci circonda, vicino di casa e siepe compresa. La cultura del counseling Bhaktivedanta non ha un umanitarismo che vede la realtà attraverso lenti di colore rosa, o idealismi disgiunti dalla realtà terrena, perché dietro c’è una disciplina e - per chi vuole- un lavoro sui propri condizionamenti. È un lavoro durissimo, bisogna essere tenaci, non arrendendosi mai, non giudicando se stessi o gli altri, insomma questo significa essere seri, certo, ma anche vivere con grazia, avere grazia, sforzarsi con grazia, amare con grazia.

Farsi trasformare dalla vita, dalle persone che incontriamo, dai nostri clienti, dalle nostre nuove emozioni è un dono che si acquista con un certo lavoro nel non attaccamento ai nostri costrutti mentali. Oltre alle tecniche e alla filosofia del counseling insegnataci da Carl Rogers, da Rosemberg, Maslow, Ekman, Assagioli, Rollo May ecc , ci è stato insegnato qualcosa di antico a cui la psicologia contemporanea è approdata negli ultimi decenni. La cultura vedica, generosamente portata e spiegata da Marco Ferrini, Fondatore e Presidente del Centro Studi Bhaktivedanta, ci insegna che non esiste la realtà oggettiva, esiste la nostra realtà fatta della nostra visione. Il costruttivismo dice la stessa cosa: la realtà non esiste indipendente dall’osservatore. L’osservatore e l’osservato interagiscono, questo lo dice il costruttivismo negli anni 50 del secolo scorso e pure Patanjali secoli avanti Cristo. Ciò significa che non ci sono verità precostituite, non ci sono schemi da imparare, le verità vanno costruite dentro di noi in base all’esperienza che facciamo e come la facciamo. E solo la nostra esperienza ci permetterà di essere un io narrante, che mentre racconta la sua storia la capisce e la costruisce, come diceva Jerome Bruner.

Fare esperienza, incontrare se stessi, il vero Sé, trasformare le nostre forme mentali: solamente allora sarà possibile apprendere qualcosa di nuovo, davvero nuovo, per poter raccontarci e dare il nostro contributo alla vita, alle persone che incontriamo. Il counselor in fin dei conti cos’è? Non uno psicoterapeuta, non ti dirà cosa devi fare della tua vita, ma è una persona di esperienza, che ha discernimento sulla realtà, una persona magnetica, affascinante, è per questo che si va da lui, o da lei.