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Basta poco per donare felicità

DI LAURA COLLA

Era una domenica sera come tutte le altre al dormitorio del Centro Alba.

C’erano quasi tutte. Erano in 16 e si stavano preparando per la cena come sempre. Donne dai 30 anni in su senza fissa dimora che in questo centro trovano un letto dove dormire, una cena e una colazione.

Alla domenica è un po' diverso rispetto alle altre sere. Durante la settimana ritiriamo i pasti già pronti e ci limitiamo a servirli. La domenica questo non è possibile. La mensa che ci prepara i pasti è chiusa e quindi chi è di turno deve cucinare qualche cosa. Questa sera siamo in quattro, io, mio marito Beppe , Cristina e Tiziana. Beppe ha preparato un minestrone che ha un profumo favoloso, poi uova mozzarella e insalata e per finire una macedonia di frutta fresca, che le nostre ospiti apprezzano particolarmente.

Le signore ci salutano a turno mentre arrivano nella sala da pranzo e si accomodano ai loro posti. Ci salutano sempre con grandi sorrisi. Con alcune di loro ci permettiamo di scherzare mentre finiamo di preparare la cena. Non tutte sorridono, qualcuna parla anche a stento anche quando le chiedo cosa gradisce mangiare. Sono chiuse nel loro mondo, nei loro pensieri, non desiderano partecipare alle nostre chiacchiere, alle nostre battute. Sguardo basso, postura raccolta, sembrano chiuse in un nido dal quale non vogliono uscire. E’ comprensibile.

La cena è pronta, cominciamo a servire il minestrone. E’ buonissimo, fanno i complimenti a Beppe, i loro sguardi cambiano, si rilassano, sembrano quasi felici. I bis e i tris non si contano. Dividiamo tra due ospiti anche l’ultimo mestolo. Qualcuno ricorda che lunedì è San Giuseppe e tutte fanno gli auguri e applaudono Beppe il” loro Chef” come lo chiamano loro. Mangiano con gusto, anche avidamente, è un momento di serenità, forse anche di felicità considerato che per la maggior parte di loro questo è l’unico pasto della giornata. Qualcuno ci guarda e sorride, nessuna parola ma un sorriso basta per comunicarti i loro pensieri. I. mi guarda, mi sorride e capisco che non vede l’ora di raccontarmi dell’incontro che ha avuto con la sua bambina che non vedeva già da due mesi.

A. viene dalla Nigeria, si sta ricostruendo una vita. Parla poco, ti squadra, non sa se può fidarsi, ma quando esplode nella sua risata fragorosa, tutta la stanza si riempie di gioia e ridiamo tutti anche se non sappiamo perché. Sta scomposta a tavola, è sempre girata verso le pentole che contengono la cena, le tiene d’occhio e regolarmente chiede il bis prima degli altri.

S. ha subito torture nel suo paese ma il suo sorriso è aperto e i suoi occhi dicono grazie continuamente. M. tiene sempre gli occhi bassi, viene dal Perù con tutto il suo bagaglio di sofferenze, ma lei è felice quando cerco di parlare spagnolo, si sente accolta e riesco anche a farla ridere.

A fine cena, mentre stiamo sistemando e alcune di loro stanno già andando a dormire, Beppe si sente chiamare con un piccolo colpetto sulla spalla. Si volta e si trova davanti C. C. non parla mai, neanche con le altre ospiti, non so nulla di lei, si siede sempre al solito posto e se vuole il bis allunga il piatto senza parlare. Non l’ho mai vista neanche sorridere. Ma era lì in piedi con una rosa rossa in mano e con un gran sorriso l’ha donata a Beppe. Un gesto, un sorriso. Nessun discorso avrebbe potuto essere più esplicito.

Ho visto Beppe con gli occhi lucidi e anche noi ci siamo commosse.

Basta poco per renderle felici. Ma cos’è poco? Quello che per noi è poco per loro è moltissimo, è la vita stessa. Una cena preparata con amore, un sorriso, parlare con loro e accogliere le loro storie.

Ma quello che ti danno in cambio è veramente impagabile.