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Una storia di empatia

DI ALESSANDRA CORA'

Ci sono storie raccontate nei libri che possono essere spunto per una riflessione profonda, specie quando narrano vicende realmente vissute.
In “Pronto soccorso, Storie di un medico empatico” Pierdante Piccioni scrive la sua di storia che da subito lascia increduli.
Il Dottor Piccioni a causa di un’incidente nel 2013 ha una lesione alla corteccia cerebrale, perde la memoria e quando si risveglia per lui è il 2001: dodici anni e tutto ciò che racchiudono sono spariti nel nulla. Con grande forza e determinazione cerca di riprendersi la sua vita, le sue relazioni e il suo lavoro, dodici anni da recuperare, esperienza, studi, aggiornamenti, per tornare ad essere ciò che era: il primario di un pronto soccorso.



Per tutti ora è il dottor Amnesia, e questo la dice lunga, essere etichettato dai colleghi e dal personale con questo nomignolo fa sentire il dott. Pierdante sempre nell’insicurezza, sa che tutti hanno dubbi sul suo operato e sulle sue diagnosi. Eppure Pierdante sa fare il suo lavoro: e lo sa fare bene e la cosa stupefacente è che dopo “tragedia” lui è tornato diverso, non perché non possiede la memoria di quei dodici anni, no... è diverso perché tutto questo lo ha reso molto empatico, ora non vede più ciò che accade solo con gli occhi clinici del medico, bensì sente e comprende veramente ciò che vivono e provano i pazienti ed i loro famigliari, lui stesso si sente ancora paziente. Vero è che non può più agire come prima, per lui ora è importante ascoltare con attenzione ciò che i malati gli dicono, sentire le loro emozioni, percepisce che deve indagare su più prospettive, ma soprattutto sa comprendere i bisogni di chi arriva preoccupato, spaventato, sofferente.
Quello che si legge è uno spaccato di vita pregna di tanti sentimenti, di un’inversione di rotta che fa sentire il dott. Pierdante fuori luogo e a disagio; egli va controcorrente rispetto alle dinamiche dei colleghi e del personale, i quali logicamente non riescono a comprendere i nuovi punti di vista del primario e pensano che l’incidente lo abbia leso e reso incapace di gestire il pronto soccorso e tutto quello che gli gravita attorno.

L’empatia che attraverso la malattia ha acquisito o meglio ha risvegliato, perché era insita in lui, era già bagaglio della sua migliore versione di sé stesso; tuttavia fatica ad accogliere questo dono perché non lo sa amministrare nel marasma delle sue responsabilità. Ecco che l’empatia se non gestita e supportata può sfumare in sentimentalismo e buonismo che non permettono di essere empaticamente autorevoli quando necessita.

Pierdante si rende conto che lavorare di cuore lo fa arrivare dove la sua memoria lo limita, questo lo manda in crisi perché non sa più chi è veramente.

Vien da chiedersi: essere persone empatiche può essere un ostacolo? Sicuramente no, anzi, diventa ostacolo, quando questa risorsa non viene orientata nel suo valore più elevato, verso quella connessione metacognitiva che trascende il mero significato della parola stessa, questo perché implica una revisione di sé stessi, un lavoro profondo di bonifica per far sì che non si cada nella “simpatia”, o nei sentimentalismi che non sono aiuto a nessuno… nemmeno a sé stessi!

Il protagonista lavora su di sé con la psicoterapia e lo fa perché vorrebbe recuperare ciò che non ricorda, tuttavia si nota che manca, in questo caso, quella ricerca di visione che gli permetta di ricollegarsi al vero e puro significato che ha l’empatia, perché è attraverso quel valore che potrà capire la sua grande potenzialità.
Nel testo non è noto se il protagonista ha affrontato una tale ricerca, di certo comprende che deve mettere a disposizione il suo dono in altro modo, il pronto soccorso gli sta stretto per poter lavorare come vorrebbe, allora pensa che forse dovrebbe dirigere i suoi sforzi e le sue capacità su altri fronti per essere veramente dalla parte di chi ha bisogno.

Come prima impressione, la lettura mi ha lasciato un po’ a bocca asciutta perché sentivo la mancanza di qualcosa, poi si riesce ad assaporare il gusto profondo delle parole quando si comprendono gli altri lati della storia. Osservandola bene non poteva essere diversa da come è stata scritta perché racchiude ciò che è l’empatia dal punto di vista dei più, e a guardarla in questa ottica è già tanto.

Il senso del significato di empatia acquisito dal Corso di Counseling del Centro Studi Bhaktivedanta va oltre, perché strettamente connesso all’essenza che sappiamo essere nel nostro sé, di quella matrice ontologica che trasforma tutte le cose. Un significato diverso è limitante, resta altresì un’empatia molto superficiale che sicuramente potrà produrre effetti positivi, nell’immensa indifferenza verso il sentire degli altri dovuti a dettami opportunistici o di profitto.
Tuttavia per guarire dalla malattie e dai disagi oltre alle medicine e terapie, qualsiasi esse siano, occorre l’amore perchè è li che risiede il significato più profondo del prendersi cura di qualcuno: è attraverso la cura empatica che l’amore diventa tangibile e fruibile per tutti.