
Morire ai desideri, alle pretese, a far andare la vita esattamente come vogliamo noi
Un tema che tocca corde profonde dell’essere umano, e che nel percorso di Counseling Bhaktivedanta diventa un nodo centrale della trasformazione.
Viviamo in una cultura che ci spinge costantemente verso la soddisfazione dei desideri, verso la conquista e il controllo. Ma chiunque abbia camminato per un po’ sulla via del counseling — o anche solo della vita consapevole — sa che la vera sofferenza nasce proprio da questa illusione: che la vita debba andare esattamente come vogliamo noi.
Ego e realtà: un conflitto sottile
Il desiderio di controllo è figlio dell’ego. L’ego vuole certezze, vuole garanzie, vuole che tutto risponda al suo piano. Ma la vita, come ben sappiamo, è misteriosa, mutevole, sorprendente.
Quando ci aggrappiamo a un’idea fissa di come le cose dovrebbero andare, inevitabilmente soffriamo.
Il Counseling Bhaktivedanta ci invita ad osservare questo meccanismo, non per reprimerlo, ma per portarlo alla luce e attraversarlo.
Il desiderio: nemico o maestro?
Nella visione Bhaktivedanta, il desiderio non è da demonizzare. Il desiderio è un’energia sacra. Il problema non è desiderare, ma dove orientiamo il nostro desiderio.
Se il desiderio è rivolto solo all’ego e al possesso, genera frustrazione e ansia.
Ma se il desiderio è rivolto a servire, a crescere, a realizzare la nostra natura divina, allora diventa una forza liberante.
La Bhagavad-gītā dice:
“Colui che ha abbandonato ogni desiderio nato dalla speculazione mentale, e vive libero da desideri, senza egoismo e senza senso di possesso, ottiene la pace.” (BG 2.71)
Morire ai desideri significa trasformare il centro della nostra volontà:
dal “voglio ottenere” al “desidero servire”;
dal “voglio controllare” al “mi affido”.
Morire non è perdere: è rinascere
Quando parliamo di “morire alle pretese”, non parliamo di rassegnazione. Parliamo di liberazione.
Come il seme che deve morire nella terra per diventare fiore, così anche noi, per fiorire davvero, dobbiamo attraversare questa piccola morte: lasciar andare le pretese, i ruoli, le identificazioni.
Questo è uno dei pilastri del Counseling Bhaktivedanta:
aiutare la persona a trascendere la superficie del sé — le maschere, i copioni, le paure — per entrare in contatto con la sua essenza eterna, quella che non nasce e non muore.
La specificità del Counseling Bhaktivedanta
Il Counseling Bhaktivedanta non è una tecnica, ma un cammino di trasformazione interiore.
Non ci limitiamo ad ascoltare con empatia. Portiamo l’altro, con rispetto e delicatezza, a vedere oltre, a riconoscere che non è il suo passato, i suoi pensieri, le sue emozioni.
È un’anima, eternamente legata a Dio, colma di valore e dignità.
Nel colloquio, ciò che accade è sacro: creiamo uno spazio in cui l’altro può “morire” alle sue vecchie narrazioni e rinascere a una nuova visione di sé.
Non siamo lì per aggiustare la realtà, ma per aiutare l’altro a riconciliarsi con essa, a comprenderne il significato evolutivo.
Nel Bhaktivedanta, il senso delle difficoltà non è casuale, ma pedagogico. La vita non è un nemico da piegare, ma una maestra da ascoltare.
Concludendo
“Morire ai desideri” significa morire a ciò che non siamo. E questo non è un atto triste: è un atto di liberazione.
È lasciare spazio alla verità del cuore.
È abbandonare la pretesa di dirigere ogni scena, e sedersi umilmente nel cuore della realtà, con la fiducia che Dio è all’opera nella nostra vita, anche quando non lo vediamo.
Come disse San Francesco:
“È dando che si riceve, è morendo che si risuscita a vita eterna.”
E come ci ricorda la Bhagavad-gītā:
“Abbandona ogni forma di egoismo, e dedica tutto a Me. Io ti libererò da ogni peccato. Non temere.”
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