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La forza della fragilità

Ho scelto di offrire questa riflessione nel giorno delle Ceneri, che, nella tradizione cattolica, rimanda alla natura fragile ed effimera della condizione umana.

Mi è stata stimolata dall’ascolto della traccia 20 del podcast ‘Lo yoga della parola’ del Centro Studi Bhaktivedanta e da un gradito confronto avuto in un laboratorio durante il seminario di formazione base di Counseling di febbraio, in cui offro il mio servizio di tutor, che mi ha incoraggiato a rispondere alla seguente domanda: quanto deve essere ‘perfetto’, in termini di competenza e condotta generale nella vita di tutti i giorni, un Counselor prima di proporsi come tale?

Questo tema tocca una parte di me che ho scelto di attraversare e trasformare negli ultimi anni e che mi vede tutt’ora in cammino: parlo della tendenza al perfezionismo [come da vocabolario: aspirazione a raggiungere, nel proprio lavoro o nella propria attività, una perfezione ideale non facilmente attuabile]. 

Lo Yoga, come ci insegna la Bhagavad Gita, è misura; né troppo, né troppo poco.

È certamente essenziale quindi frequentare con impegno il triennio di formazione, mettendosi, gradualmente in gioco nei laboratori proposti e, soprattutto, nella vita di tutti i giorni che è una grande opportunità per declinare nel concreto quanto ci viene offerto nei seminari e le conseguenti realizzazioni che ognuno ne trae.

Al tempo stesso, cosa potrebbe accadere se, nel proporsi come Counselor, ci sentissimo ‘perfetti’, ovvero ‘molto capaci’, ‘assolutamente pronti’?

Posso solo immaginare... non mi vengono risposte, piuttosto mi arrivano altre domande.

Se ci sentissimo ‘assolutamente pronti’ come potremmo affrontare il colloquio con quella sana umiltà che ci permette di accompagnare l’altra persona standole di fianco e non davanti, in posizione di superiorità?

Come potremmo entrare in sincronia, ovvero rispettare con pazienza il passo della persona di fronte a noi, senza forzare il suo cammino magari proponendo soluzioni non opportune?

Pur centrandosi al meglio, come sarebbe possibile affidare il risultato della Relazione che si è creata al Signore che è l’unico a conoscere nel profondo cosa è equo per la nostra crescita personale e per la crescita dei nostri rapporti umani?

Se ci sentissimo ‘perfetti’ quali strumenti avremmo per osservarci nel ruolo di Counselor con quel sano distacco emotivo che ci può riportare alla nostra essenza profonda, nella consapevolezza che noi, e i ruoli che interpretiamo, non sono che strumenti di questa luce interiore?

Grazie al Centro Studi Bhaktivedanta ho compreso che essere Counselor, ancor prima che un ruolo, è una attitudine di vita. 

I nostri primi ‘Clienti’ sono i familiari più stretti, i colleghi di lavoro, gli amici più vicini e se ci riflettiamo un attimo, per offrire il meglio di noi stessi a loro, non attendiamo di essere ‘‘molto capaci’, ma attraversiamo le situazioni che accadono, a volte anche in emergenza, andando in campo con tutte le nostre fragilità.

E se questo andare in campo è nell’ambito delle nostre peculiari responsabilità e la nostra intenzione è pulita, allora l’azione, se svolta con impegno, autenticità e fede, darà frutto. Il risultato, qualsiasi esso sia, ci farà crescere.

Credo che proprio la consapevolezza delle nostre fragilità sia un elemento che ci può sostenere in un colloquio di qualsiasi natura poiché ci agevola nel dosare le forze e nel prevenire e gestire impatti emotivi oltre misura, riconoscendo magari sensazioni in noi non dovute ad una lucida empatia ma piuttosto esito di un nostro entrare in una risonanza non funzionale con il vissuto che ci viene narrato.

Allora il mio invito è quello di prepararsi certamente al meglio delle nostre disponibilità per poter agire come ‘Counselor’ e, al tempo stesso, di farlo senza attendere di aver risolto in noi tutto quanto pensiamo vi sia ancora da armonizzare in quanto il rischio sarebbe quello di non partire mai poiché il viaggio di autoconsapevolezza personale non ha fine, almeno in questa dimensione materiale.

Come dice il Maestro Marco Ferrini, l’importante è camminare verso la perfezione, non essere o considerarsi perfetti.

Mi arriva allora un’altra domanda.

Cosa potrebbe accadere se nel contesto di una relazione con un familiare, un collega, durante in un colloquio di Counseling o in un laboratorio durante un seminario, accadesse di restare senza parole, senza domande da porre, senza riflessioni da offrire, magari con un nodo in gola che non si scioglie?

Oppure se ci accorgessimo piuttosto di aver alzato troppo la voce?

Per quello che mi riguarda forse mi sentirei ‘nudo’ come mi è accaduto, con diverse sfumature, in diversi momenti della mia vita quando alcune situazioni mi hanno messo all’angolo. 

Se così accadrà cercherò di ricordarmi che il valore della Compassione vale anche per le parti di me che non ho ancora ben accolto e allora farò del mio meglio per interiorizzare le illuminanti parole che D’Avenia scrive nel suo ultimo libro: “quando siamo nudi allo specchio, scopriamo che l’unico consenso di cui abbiamo bisogno è quello che viene dalla fedeltà a noi stessi e a chi il consenso non solo non ce lo ritira mai, ma ci consente di essere chi siamo, cioè a Dio”.

 
Nicola Baroni


Il podcast Vaco Vegam è offerto all’interno del Dipartimento di Counseling del Centro Studi Bhaktivedanta.