Skip to main content

Non tutto il parinamah vien per nuocere (PARTE II)

DANIELA CIRINO

Non tutto il parinamahvien per nuocere1 (PARTE II)

Da tale, insolita circostanza, è emersa l’opportunità che il percorso di Counseling della Scuola Bhaktivedanta, tradizionalmente solo in presenza, nonostante i molti seminari webinar comunque offerti durante l’intero anno accademico, si arricchisse di una nuova modalità di conduzione che, posta in essere per emergenza, si è rivelata una formula vincente in quanto flessibile rispetto al problema sorto, comoda, qualitativamente molto elevata, grazie alla presenza della totalità dei corsisti, e priva del disagio che la gestione di spazi comuni, condivisi da molte persone, può comportare.
Allo scopo di migliorare il servizio formativo a distanza, affinandone le potenzialità e migliorandone le tecniche di gestione, il docente referente della Scuola, Andrea Boni, ha già comunicato che due dei seminari previsti per il prossimo anno accademico si svolgeranno in modalità remota.
Nella Bhagavad gita, Shri Krishna ci esorta a porci nella prospettiva della soluzione, rammentandoci che utilizzare le nostre risorse per il puro desiderio di servirLo, scevri dalla concupiscenza per i frutti, garantisce la soddisfazione nell’azione e il successo spirituale. E, qualora qualcosa dovesse mancare, Shri Krishna provvede.
Altre situazioni, ben peggiori dell’attuale contagio, potranno aver luogo.
La Scuola è impegnata nella formazione di individui che intendono prepararsi interiormente, svolgendo un complesso lavoro di autocomprensione e di elaborazione emotiva, per rendersi capaci di offrire agli altri il sostegno e l’orientamento necessari alla propria presa di coscienza di sé, alla formulazione di opportune domande esistenziali, alla comprensione delle umane paure che, relative alla malattia e alla morte, hanno la loro origine nell’inconsapevolezza spirituale.
Vedere gli altri morire, senza comprendere di dover riflettere sulla propria morte, è la madre di tutte le contraddizioni umane, sulla quale una delle innumerevoli narrazioni presenti nel Mahabharata ci invita a riflettere con attenzione.
L’ignoranza della reale natura spirituale dell’essere vivente paralizza gli individui che, bloccati da conflitti interiori, sentono di non disporre dell’energia sufficiente, di cui pure potrebbero godere con piena soddisfazione se solo non venisse dispersa dal malessere interiore del quale soffrono, e di cui non sanno rinvenire le cause.
I Veda avvertono che tutto è cibo.
La psiche, pertanto, si ammala quando si nutre di cibo velenoso, come i pensieri, i desideri distruttivi, le emozioni letali quali l’invidia, la gelosia, il rancore.
Anche a distanza, nella Scuola di Counseling ci viene insegnato a selezionare con cura il cibo psichico, oltre a quello fisico. Affinché siano benefici per la nostra salute, occorre che entrambi siano sani, puri, non violenti.
L’inconscio, definito “mente profonda” nei Veda, è la base fondante del comportamento umano. Pertanto, va dapprima sanato, per essere poi sapientemente utilizzato come strumento per armonizzare e sviluppare la personalità.
Nonostante la lontananza fisica, la Scuola si impegna ad accogliere e a orientare i nostri sforzi di riconoscere questa grande energia interiore, di cui tutti gli individui dispongono, per non esserne agiti passivamente e per imparare a utilizzarla in modo benefico, in favore del sé, dell’anima, rapportandola alla natura profonda, alla Coscienza Cosmica, cessando di disperderla in attività frammentate, riduttive, rapportate all’ego, imprigionato nello spazio e nel tempo.
Contestualmente, nel corso del seminario di aprile, organizzato in quattro incontri, si è riflettuto e lavorato in maniera concreta su un argomento di grande interesse, ossia la caratterizzazione della leadership, intrinseca alla figura del Counselor, in accordo all’approccio Bhaktivedanta.
Il leader è, anzitutto, in grado di controllare se stesso, non lasciandosi dominare dai propri impulsi, ma imparando gradualmente a dialogare con le parti di sé più indisciplinate e difficili da accettare, resistendo alla tendenza di reprimerle, e superandola per giungere a livelli sempre più elevati di consapevolezza.
Il leader impara ad attraversare il mondo con distacco emotivo (vairagya) e discernimento (viveka), trascendendo, tramite la dolcezza, una grande paura umana, ossia quella di essere luminosi e potenti. Il leader non teme di essere luminoso e potente, perché sa che si tratta di qualità intrinseche all’essere vivente che, nel tempo, impara a gestire per scopi elevati.
Il leader è un modello di riferimento, che non si impone con la forza, ma è stimato e apprezzato per le sue virtù, che pratica realmente.
Il leader riconosce i suoi errori, resta disponibile ad imparare ed è consapevole di avere bisogno, a sua volta, del punto di riferimento di chi ne sa di più.
Il leader è tale, se conquista l’umiltà e la consapevolezza di essere anzitutto discepolo.
E di restare, eternamente, anche discepolo.
La Scuola Bhaktivedanta propone che la giusta direzione da intraprendere, guidati da chi abbia maturato gli strumenti teorici necessari e li abbia applicati, è la conoscenza di sé, l’accoglienza delle componenti immature della propria personalità, l’impegno finalizzato alla loro trasformazione.
La conoscenza di sé è l'esito di un lungo e onesto processo, che avviene poco alla volta, imparando a osservarsi e ad acquisire la consapevolezza dei propri bisogni, dei desideri, dei pensieri profondi, dei meccanismi di difesa sottesi ai pensieri e agli impulsi che emergono in superficie, e che si subiscono passivamente, fino a quando non se ne comprendano il potere condizionante e l'origine.
L’indagine e la conoscenza di sé, attraverso lo studio dei testi sacri (Shastra), è definita svadhyaya.
Si tratta di una pratica che, nel Sadhana Pada, Patanjali annovera tra i cinque niyama, i comportamenti da osservare necessariamente, se si intenda intraprendere con serietà il percorso evolutivo, e avanzare. “Grazie allo studio dei testi sacri, si ottiene l’unione con l’energia divina”.2
Seguendo le priorità indicate, i testi sacri consentono, con gradualità, di verificare la progressione della propria ricerca interiore, e insegnano a scongiurare il pericolo di identificarsi con i propri pensieri, con le proprie emozioni, con le proprie sensazioni. Grazie agli insegnamenti delle scritture, l’intuito viene educato e coordinato, i contenuti inconsci sono purificati, le azioni diventano consapevoli e virtuose. La Scuola Bhaktivedanta ci sostiene nel cammino di trasformazione della nostra coscienza, da cui si genera l’azione evolutiva, a sua volta possibile se perseguiamo e affiniamo l’autenticità nel rapporto con noi stessi e con le altre creature.
L’autenticità (satyam3 ) è la base sulla quale edificare la nostra personale relazione con l’Assoluto, oltre ogni spazio, ogni tempo, ogni ostacolo materiale, sia esso sottile come un pensiero, o grossolano come un virus a forma di corona.

__________________________________________

La brillante ed efficace espressione è del Maestro Marco Ferrini che, in un contesto di senso diverso, l’ha utilizzata nel corso di un webinar sul Vibhuti Pada di Patanjali
Sadhana Pada, II.44
Sadhana Pada, II.36. “Una volta che lo stato di verità è permanentemente stabilito, ogni affermazione sarà la base di un’analisi veritiera”.